Copie (in)vendute e futuro dei quotidiani
La mattina del 31 dicembre mi sveglio con la voce del giornalista radio che invita gli ascoltatori ad acquistare un quotidiano. Non fate spegnere la libertà di informazione, i giornali che quotidianamente vi informano su quello che accade nel mondo. Il messaggio che lancia dai microfoni di Radio24 suona più o meno così. Ma forse sto ancora sognando. Forse vivo ancora un incubo, uno di quelli che ti perseguitano quando stai per svegliarti e poi si confondono con la realtà.
Verso mezzogiorno telefono al mio edicolante di fiducia: “Ho fatto tardi – gli dico – mi metti da parte per cortesia una copia di questo quotidiano locale?”. Mi rassicura e mi dà appuntamento a più tardi.
Dopo una mezzora arrivò trafelata all’edicola e, nel cercare la copia che spero si sia ricordato di mettermi da parte, mi imbatto in una montagna di giornali accatastati sul bancone.
“Sono tutti qui” – mi dice con aria sommessa. E qui capisco ancora di più che la realtà dei giornali italiani, locali e non, oggi è molto triste. Lo capisco dal numero di copie che sono su quel bancone; me ne rendo conto perché, chiacchierando, scopro che sono anni che oramai i giornali non vanno più a ruba (fatto eccezione per i boom di vendita in casi particolari di cronaca locale). Io, immersa nel mondo degli abbonamenti digitali, non frequentando più quotidianamente un’edicola, non me ne ero accorta.
L’analisi che mi fa il mio rivenditore è drammatica: la crisi ha ridotto ancora di più le vendite. Mi divide i lettori in due mondi. C’è chi è quotidianamente alle prese con difficoltà economiche: come fa a spendere 1.20 euro al giorno per leggere le notizie? Allora ci si informa on line o con la tv e – nel migliore dei casi – si approfitta dei giornali disponibili in circoli o bar. E poi ci sono quelli ipertecnologici che oramai il giornale preferiscono leggerlo sul tablet o sullo smartphone.
Esco dall’edicola pensierosa e realizzo che forse l’appello alla radio a prima mattina non lo avevo sognato.