Internet slowdown in difesa della net neutrality
Per qualche secondo internet oggi all’ignaro navigatore degli Stati Uniti deve essere sembrato un viaggio indietro nel tempo. A quando internet era a rilento, a quando l’Adsl neanche esisteva e l’idea di guardare un film in streaming era lontana anni luce.
Oggi è il giorno della protesta della Rete in favore della Net Neutrality, la cosiddetta giornata di “Internet Slowdown”
Ed è proprio per intraprendere una lotta comune in favore della “neutralità del web” che alcuni siti in America oggi hanno indetto una vera e propria giornata della lentezza.
Il web va a passo di lumaca oggi in segno di protesta: alcuni colossi come Netflix, FourSquare, Vimeo, Mozilla, hanno deciso di protestare contro l’eventualità di internet a due velocità.
In pratica si rallenta per evitare che, in futuro, qualsiasi accordo commerciale possa in qualche modo aumentare o diminuire on line la velocità di trasmissione dei contenuti. Insomma, un mondo web in cui chi ha soldi da sganciare viaggia veloce mentre i poveri vanno a rilento. Un pericolo non da poco, che andrebbe a riversarsi sui cosiddetti utenti finali, con grandi difficoltà per i singoli, ma anche per quelle piccole aziende che intendono affermarsi o anche per le startup.
La protesta giunge pochi giorni prima della chiusura delle discussioni sulla net neutrality in America.
Lo sviluppo e la diffusione capillare del mobile hanno messo in difficoltà gli internet service provider che sono alla ricerca di nuove fonti di ricavi. Ma è giusto trovarli violando la cosiddetta neutralità della Rete? Le domande sono tante ma risulta difficile immaginare che la soluzione possa essere semplice semplice: far andare veloce chi ha soldi e tagliare le gambe alle piccole startup. Anche perché poi le conseguenze per gli utenti sarebbero di non poco conto.
Ma il discorso è molto più vasto ed esteso e si intreccia con quelle mai placate esigenze di regolamentare la Rete che sono un po’ come pretendere di portare a mare i pesci a spasso con il guinzaglio… Ma come si fa?
Il problema per ora interessa gli Usa ma – c’è da scommetterlo – prima o poi giungerà seriamente anche da noi. E per allora saremo pronti ad affrontarlo?