Diffamazione, Cassazione: il direttore responsabile deve sempre controllare i testi
“Il direttore responsabile di un quotidiano risponde sempre in solido con il giornalista autore di uno scritto diffamatorio, tanto nell’ipotesi in cui abbia omesso la dovuta attività di controllo, nel qual caso risponderà a titolo di colpa, quanto nell’ipotesi in cui abbia concorso nel reato di diffamazione ai sensi dell’art. 110 cod.pen. nel qual caso risponderà per dolo”.
Lo sostiene la Corte di Cassazione in una sentenza di qualche giorno fa (Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile – Sentenza 25 febbraio – 12 maggio 2014, n. 10252 – Presidente Chiarini – Relatore Rubino) che condanna un giornalista e un direttore responsabile al risarcimento danni per diffamazione.
Il caso, oggetto di sentenza della Cassazione, esamina la storia di un giornalista e di un direttore responsabile, chiamati in giudizio da un avvocato che chiedeva la condanna al risarcimento del danno alla propria reputazione, causato da un articolo pubblicato in una rivista (quella appunto del direttore responsabile e del giornalista in questione).
La richiesta di risarcimento danni da parte del legale era stata respinta in Primo Grado e poi accolta dalla Corte di Appello che nel 2007 aveva condannato giornalista e direttore responsabile al pagamento di 25 mila euro in solido, a titolo di danno morale, escludendo la configurabilità della scriminante del diritto di cronaca per difetto del requisito della verità della notizia.
Poi, dopo la condanna in Secondo Grado, il ricorso in Cassazione da parte del direttore responsabile e la pubblicazione della sentenza che condanna, di fatto, giornalista e direttore.
Nella sentenza si legge anche che “i poteri di controllo che devono essere esercitati dal direttore responsabile di un giornale non si esauriscono nell’esercizio di un adeguato controllo preventivo, che si esprime nella oculata scelta da parte del direttore responsabile per la redazione di una determinata inchiesta giornalistica di un giornalista che ritiene idoneo, ma anche nella vigilanza ex post, sui contenuti e sulle modalità di esposizione di essi nell’articolo destinato alla pubblicazione (oltre che sulla collocazione, sul risalto, sulla titolazione). Del controllo ex post fanno parte la verifica che sia stata riscontrata, a seconda dei casi, la verità dei fatti o la attendibilità delle fonti (non richiedendosi ovviamente che il direttore responsabile rinnovi tutta l’attività già svolta da parte del suo giornalista), e anche la verifica più delicata e più legata alla conoscenza dell’idoneità evocativa delle parole che deve avere un direttore di giornale volta a riscontrare se, come nel caso di specie, alcuni fatti esposti, in sé comprovatamente veri ed altri quanto meno attendibili non siano tali, per il loro utilizzo fuori contesto, o per la suggestione ed i collegamenti impliciti che l’espressione giornalistica deliberatamente utilizzata è idonea a creare nel lettore, ad essere in concreto diffamatori”.
In conclusione – secondo gli ermellini – “la preminenza del direttore responsabile gli consente e gli impone di intervenire tempestivamente richiedendo le modifiche adeguate per evitare di esporre un terzo ad un discredito ingiustificato e la configurabilità di una responsabilità risarcitoria in capo all’autore, al giornale e a sé stesso. La indiscussa professionalità del giornalista che firma l’articolo e la sua esperienza della particolare materia approfondita non possono in ogni caso esimere il direttore responsabile dall’esercizio di questi poteri. Come è stato più volte affermato dalla cassazione penale, il controllo spettante al direttore responsabile non può esaurirsi in una mera «presa d’atto», ma deve necessariamente riguardare il contenuto degli articoli da pubblicare e l’assunzione di iniziative volte a elidere eventuali profili penalmente rilevanti (Cass. pen. Sez. I, 19-09-2003, n. 47466) o, si può aggiungere, rilevanti sotto il profilo della responsabilità civile”.
Il testo integrale della sentenza è disponibile qui.